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Regali-AMO-ci un SORRISO… comunque!!!

pegasoPANIFICIO CANNATELLO

 

Il sorriso è l’esaltazione e la leggerezza dell’anima che lascia fluire da una smorfia d’allegrezza il piacere di viversi momenti di gioia insieme ad altri… ed è unico quando vien fuori spontaneamente e non quando lo si stampa in un viso impacciato perché indisposto a far vedere ciò che non si sente… quanti col ‘sorriso’ devono convivere ed abituarsi a mostrarlo sempre e comunque… si arriva al punto di confondere la stessa anima che non riesce a domare il ‘sentire’ ogni qualvolta si lascia tradire dal ‘far vedere’… ed è lì che anche l’esterno si confonde perché scambia ciò che vede con ciò che il sorriso in sé trasmette. Affidare al sorriso la responsabilità di presentarci all’esterno può indurre col tempo alla ‘sindrome del clown’ .- cosi la chiamo – che ride e sorride per lavoro avendo poco tempo per ascoltare le sue profondità a volte sofferenti ed indicibili perché sanguinanti. Sono queste situazioni ‘borderline’ che ci mettono nelle condizioni di essere estranei per noi che vorremmo essere come fingiamo di essere e per gli altri che credono di conoscerci non conoscendoci. Il nostro tempo è il tempo dell’immagine, delle pose, dei sorrisi ‘stampati’ che vorrebbero parlare di noi ma sono solo, a volte, delle proiezioni di ciò che gli altri, l’esterno, la società di ‘plastica’ ci induce a far vedere per nascondere la ‘polvere’ che ci abita sotto i tappeti dell’apparire. Leggere questi ‘sorrisi’ oggi penso ci capita così spesso che non ci facciamo nemmeno caso… è diventato lo ‘stampato’ l’originale; ed è una modalità di rappresentarci che ci aliena alla nostra stessa anima facendoci apparire s noi stessi irriconoscibili.

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Il danno che la società iperconsumistico-capitalista ha provocato all’evoluzione dell’uomo sapiens sapiens, in questo suo indurlo a transitare sulle scene merceologiche e del profitto che lo stanno condannando all’oggettivizzazione persino dei suoi comportamenti-atteggiamenti che se non risultano presentabili vanno posti sotto tutela e marginalizzati a mera riserva economica in quanto improduttiva e perciò stesso ‘fuori corso’, è enorme. In tal senso non sono rari i casi di frustrazione e di disagio che sconfinano in disturbi contemplati a iosa nei DSM dal I° al V° (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) della psichiatria che sembra sia stata designata a software di questa società occidentale che Bauman ha avuto l’intelligenza e la lungimiranza di definire liquida. Potremo dire che se c’è una disciplina che non soffre di ‘pazienti’ questa è la psichiatria. E pur essendo quasi bandita dalla medicina in quanto opera in un settore dove la guarigione è come l’utopia di Tommaso Moro o di Campanella, è sempre lì a spingere verso la cronicità anche ragazzi che avrebbero bisogno solo di essere ascoltati ed aiutati a rituffarsi nel flusso dinamico della vita che li attende e non delle ‘secrete (e segreganti) stanze’ delle comunità a doppia diagnosi o psichiatriche, dove le alterazioni cognitive, emotive e comportamentali presenti nei soggetti che riferiscono un disturbo specifico correlato all’assunzione di sostanze e presentano allo stesso tempo un disturbo cosiddetto psichiatrico vengono ulteriormente ‘sezionati’ e riferiti alla comorbilità come fosse possibile far derivare dallo stesso disagio esistenziale (riconducibile allo stesso soggetto) più diagnosi. Chi è in disagio non si preoccupa di sconfinare in problematiche di dipendenza e se viene a contatto con le ‘fauci’ sanguinanti della psichiatria è chiaro che la causa è da ricercare nel disagio iniziale che l’ha spinto ad allontanarsi da sé e non nelle dipendenze che, possibilmente, l’hanno affidato alla psichiatria. La comorbilità è una doppia diagnosi che fa torto a chi soffre il disagio e ci dà una chiave di lettura per comprendere i limiti di una psichiatria che nel disagio psichico si perde e non riesce a dare speranze di salvezza a chi – ahi lui o ahi noi – vi si affida.

Il sorriso in psichiatria specie se involontario è un sintomo che va sottoposto a terapia farmacologica, riteniamo abbia funzione di resilienza, di prenderci x mano e farci attraversare il fiume; farci scalare le montagne; farci superare periodi cupi… il sorriso se privato del suo essere profondo ed viene utilizzato per compiacere, per essere presentabili, per nascondere la polvere sotto il tappeto della nostra mestizia, va in sofferenza e ci rode dentro perché mal sopporta la costrizione in quanto non avvezzo alle catene perché ama la libertà e la leggerezza; ama esprimersi a 32 denti ed anche ‘senza’… non va inibito ma sollecitato perché è la nostra parte ‘sanante’, quella che ripara dalle cadute, dalle frustrazioni, dai periodi bui in cui l’ombra sembra sopraffare la luce. Il sorriso invoglia la luce a danzare almeno alla pari con la nostra parte ombra. Proviamo ad osservarci, a vederci/visitarci più spesso… mettiamo sotto osservazione le nostre foto passate anche molto passate e recenti anche molto presenti. Non ci vorrà molto per capire che la predisposizione al sorriso davanti all’obiettivo non sia cambiata o sia cambiata poco come la nostra posa. Tendiamo spesso a ripetere gli stessi atteggiamenti che sono quelli che abbiamo ritenuto che l’esterno volesse o meritasse di vedere. Ci siamo fatti incastrare, perché piegati a modelli in cui il sorriso si fa merce e mostra i ‘denti’ e quasi mai le labbra che sono quelle che lo camuffano, lo ‘proteggono’ da eventuali imperfezioni date da un ‘apparecchio/protesi’ o da qualche dente mancante che ne compromette la bellezza oramai di ‘plastica’. Tutto dunque è estetica, fuori da questa logica sembra non vi sia più spazio. Ed è qui che dobbiamo riprenderci ciò che la società che abitiamo ci ha in parte tolto/inibito e censurato.

Dobbiamo iniziare a fare ‘pace’ con noi… gli altri verranno dopo, dovranno farsene una ragione. Noi esistiamo, cosi come siamo. Riprendiamoci il sorriso che abbiamo fatto cadere nelle nostre profondità solo per essere appetibili ad un mercato del ‘sorriso da vetrina’ che ci usa e non ci ama. Il ‘diodenaro’ ha fatto della nostra vita, del nostro corpo un bancomat da cui trarre profitto e pertanto ci chiede di essere sempre mercificabili, da ‘vetrina’… come nella società spartana e/o ariana le imperfezioni non hanno cittadinanza e noi, facendoci spesso del male, ci adeguiamo alle esigenze del mercato anziché piegare il mercato alle nostre esigenze. Si arriva al punto che evitiamo di mostrare il sorriso perché potrebbe compromettere l’immagine che gli ‘altri’ (mercato) hanno e vogliono darci… a quanto la una rivoluzione culturale che passi dalla liberazione dei nostri modi di stare al mondo? A noi l’ardua sentenza?

Angelo Vita

(Psicopedagogista – Docente di Filosofia e Storia)