Alla presenza di un folto e qualificato uditorio, presso il salone della Chiesa S. Lorenzo, in piazzetta Purgatorio, ad Agrigento, ha avuto luogo la presentazione del libro del favarese Calogero Di Pasquale “Altro suono, la radio a valvole”.
All’evento, promosso da don Giuseppe Pontillo, direttore dell’Ufficio diocesano dei BB.CC. e del MUDIA (Museo diocesano Agrigento), sono intervenuti l’ingegner Francesco Paolo Pulselli, che si è occupato degli aspetti prevalentemente tecnici della pubblicazione, e il professor Giovanni Marchica, che nella sua relazione si è soffermato in particolare sulla struttura del libro e sulle sue implicazioni di carattere etico-sociale, oltre che sulla personalità del suo autore. Relazione che ha attirato l’attenzione degli intervenuti e che riproponiamo di seguito:
“Parlare di un libro avente carattere prevalentemente tecnico è per me un fatto del tutto inusuale, non disponendo della necessaria competenza specifica. Tuttavia ho accettato
di buon grado di farlo per due ordini di motivi, avendo da una parte curato, assieme all’autore, l’aspetto grafico della pubblicazione, oltre alla revisione generale del testo e alla
correzione delle bozze, dall’altra essendo legato a lui da un’amicizia che dura ormai ininterrottamente da quasi mezzo secolo.
Premetto che Lillo Di Pasquale non nutre alcuna velleità letteraria. “Altro Suono” nasce piuttosto da una precisa esigenza che non è esagerato definire esistenziale, dal momento che in esso si dipana il filo di un’esperienza umana e professionale che ha contrassegnato in toto la sua esistenza, e continua a farlo: dal prezioso tirocinio compiuto da ragazzo presso il laboratorio paterno di riparatore di radio-TV; fino all’abbandono, nel 1976, di un lavoro ambìto (quello di elettricista presso lo stabilimento ANIC di Gela), per dedicarsi esclusivamente all’attività, mai del tutto sopita, di elettrotecnico; infine alla cessazione
definitiva dell’attività laboratoriale nel 2000, per occuparsi unicamente di radio d’epoca.
Che poi è l’argomento del libro che viene presentato questa sera.
Il libro è dedicato al padre Carmelo, che egli, nell’introduzione, definisce, e ben a ragione, “…pioniere a Favara di elettrotecnica valvolare”. Dal padre ha appreso i primi rudimenti dell’elettrotecnica, ma ha soprattutto ereditato l’amore e, direi, la passione per la radio, tanto da concludere la parte introduttiva del libro con le seguenti parole, non bisognevoli di alcun commento: “Oggetto meraviglioso [riferendosi naturalmente alla radio]! Solamente chi ha fatto questo mestiere (se così si può chiamare) può condividere con me questa passione: [la] passione per quello che si fa. La passione è un elemento che fa sicuramente la differenza nello svolgimento di un lavoro”. E altrove: “Mi stupisco sempre come il primo giorno quando, nella fase finale, dopo averlo riparato, rimesso il pannello posteriore, accendo l’apparecchio, al solo pensiero che, tramite le onde sonore trasmesse da
un punto qualsiasi del pianeta, si possa con questo ricevitore ascoltare quel suono o quella voce proveniente da migliaia di chilometri di distanza”.
“Altro suono”, sia pure in forma sintetica, affronta in maniera agile e piana tutti gli argomenti connessi col mondo della radio, ma anche, a partire dal 1954, con quello della televisione: alcuni di essi sono di natura strettamente tecnica e, quindi destinati ai lettori in possesso di specifiche competenze, come ad esempio la valvola termoionica (il diodo, il triodo, il tetrodo, e così via), la tipologia delle valvole e la loro codifica, schema a blocchi del TV bianco e nero, ecc.; altri accessibili al lettore comune: la radio a valvole, la radio a transistor, breve storia di un oggetto meraviglioso, progresso scientifico dopo Marconi (dove vengono elencate le tappe fondamentali dello sviluppo scientifico-tecnologico dal 1947 al 1984 attraverso le principali scoperte e invenzioni relative a ciascun periodo),
Nikola Tesla (scienziato croato padre del moderno Wireless), e poi la bella e ariosa storia della radio in Italia, nella quale l’autore ripercorre schematicamente le tappe fondamentali dell’attività radiofonica nel nostro Paese dal 6 ottobre del 1924, anno in cui nasce la prima trasmissione, con la ormai storica, inconfondibile voce di Maria Luisa Boncompagni, agli anni 1960–1970, “…quando la radio, nonostante la novità e l’impatto spettacolare della TV,
resiste, anche grazie ai trent’anni di attività consolidata e a un pubblico affezionato e fedele che apprezza i programmi di svago generale, ma anche grazie agli ascoltatori più esigenti che seguono i temi di politica e società”, fino agli anni più recenti, contrassegnati dall’ingresso nel mondo della radio di una delle tecnologie più interessanti e promettenti relative a questo settore, che è il cosiddetto Dab (Digital Audio Broadcasting).
Non privi d’interesse sono i capitoli: “La radio entra in guerra (1935-1945)”, che succintamente illustra il ruolo e la funzione della radio in Italia durante gli anni del secondo
conflitto mondiale, e il vademecum del restauratore, “Restauro di un oggetto meraviglioso”, in cui Lillo Di Pasquale elargisce preziosi consigli pratici ai restauratori di
radio d’epoca (naturalmente a valvole), dalla verifica iniziale al processo di restauro vero e proprio, che viene descritto analiticamente nei suoi vari passaggi.
Ma l’autentico fiore all’occhiello del libro è l’ultima parte, che da sola ne occupa circa la metà, ben sessanta pagine, dal titolo “Il museo della radio a valvole”, comprendente 54 schede, in cui sono contenuti i dati tecnici essenziali di ciascun esemplare: dalle gamme d’onda all’alimentazione, al tipo di altoparlante/i, alla potenza d’uscita audio, al tipo di mobile e al materiale usato per la sua costruzione, alle misure e al peso, fino al tipo di valvole montate e, addirittura, al prezzo, oltre, naturalmente alla casa produttrice, che è quasi sempre la Telefunken, al modello e all’anno di produzione.
Un vero e proprio museo della radio, dunque: apparecchi tutti perfettamente funzionanti, che Lillo Di Pasquale, con l’amore, la passione, ma soprattutto la certosina pazienza d’altri tempi, ha prima reperito (nei mercatini, sul web, presso privati), poi, con un altrettanto certosino lavoro di restauro, dopo settimane e, a volte, mesi di attività, ha
restituito alla loro funzione originaria.
Tutto ciò assume – al di là e al di fuori del pur pregevole valore tecnico della pubblicazione – una valenza fortemente etica e, in certo senso, vuol essere, a suo modo, un monito, un richiamo a riconsiderare il ruolo dell’uomo e dei valori che danno un senso alla sua vita: in un mondo dominato dalla fretta e dall’ansia quotidiane, caratterizzato dal “tutto e subito”, dall’ “essere connessi ventiquattr’ore su ventiquattro”, in cui l’“avere” e l’“apparire” s’impongono sempre più inesorabilmente sull’“essere” – come scriveva oltre quarant’anni fa il filosofo e sociologo tedesco Erich Fromm –, in una società come quella attuale pervicacemente ancorata a un “individualismo edonistico” che considera il piacere come il bene supremo e il suo conseguimento il fine esclusivo della vita, che sposta sempre più in là, parossisticamente, l’oggetto di soddisfazione dei propri desideri, in cui i mezzi diventano spesso fini a se stessi, non si capisce in omaggio a quale logica masochisticamente perversa, fermarsi a riflettere su ciò che conta veramente (la bellezza del lavoro e il senso di pienezza che esso, da solo, dà alla vita, la soave dolcezza dell’attesa, lo spirito di sacrificio, la capacità di “ascoltare” la voce del silenzio anche durante la propria attività lavorativa quando questa lo consente…), tutto ciò può essere senz’altro liberatorio, ma direi anche terapeutico…, può restituire l’individuo ai suoi valori fondanti, aventi carattere universale, necessario e assoluto, e perciò in grado di sottrarsi all’opera demolitrice del tempo e al fallace avvicendarsi delle mode.
Poc’anzi si accennava a Fromm. In “Avere o essere?”, del 1977, lo studioso si occupa in maniera lucidamente profetica del rapporto tra essere e avere (che da allora, ahinoi!, si è sensibilmente deteriorato): «Dicendo essere o avere – scrive – non mi riferisco a certe qualità a sé stanti di un soggetto… Mi riferisco, al contrario, a due fondamentali modalità di esistenza, a due diverse maniere di atteggiarsi nei propri confronti e in quelli del mondo, a due diversi tipi di struttura caratteriale, la rispettiva preminenza dei quali determina la totalità dei pensieri, [dei] sentimenti e [delle] azioni di una persona.»
Ed è proprio la ormai indiscussa prevalenza, in tutti gli strati della società contemporanea e a tutte le latitudini, della modalità esistenziale dell’avere rispetto a quella dell’essere a preoccupare seriamente quanti hanno a cuore la nascita di un nuovo umanesimo, che abbia al centro un individuo libero in quanto capace di un’attività autenticamente e, aggiungerei, “gratuitamente” (tra virgolette) produttiva e creativa, definitivamente svincolato dalla miriade di condizionamenti (non ultimo quello operato dall’industria dei mass media, e oggi, in particolare, soprattutto dai cosiddetti social media) che ne determinano la vita e l’attività, riducendolo a puro e semplice ingranaggio dell’organismo sociale nelle sue molteplici articolazioni funzionali.
Tuttavia, vivere diversamente si può: basta volerlo! E Lillo Di Pasquale, con il suo quasi mezzo secolo di attività professionale prima e hobbistica poi, volta più alla ricerca dell’appagamento interiore che non all’adesione incondizionata alle vane lusinghe della vita, prima tra tutte il denaro considerato come fine a se stesso, questo lo ha ampiamente e inequivocabilmente dimostrato”.