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Per la “Giornata della memoria” 27 Gennaio 2017

pegasoPANIFICIO CANNATELLO

“Uomini ed Eroi: Calogero Marrone da Favara e Salvo Cacciatore, Ciro, da Aragona”
Molto è stato detto e scritto sul primo cinquantennio del ‘900, il secolo breve del passato Millennio. Ma lo studio dei tragici avvenimenti del periodo, compreso tra l’8 settembre 1943 ed il 25 aprile 1945, è tutto che esaurito. Poiché la storia e la storiografia sono scienze in continuo divenire, è opportuno concentrare il nostro focus sulla genesi di quegli avvenimenti, originati dall’opposizione al Fascismo ed alla liberazione dal gioco nazista per ristabilire la libertà e la democrazia nel nostro paese. Un coacervo d forze confluirono nella notta armata che va sotto il nome di RESISTENZA, vera e propria guerra civile, con cui gli Italiani si riscattarono dalla condizione di “volgo disperso che nome non ha” (Manzoni: 2° coro dell’Adelchi). Con l’animo sereno e distaccato che ogni memoria collettiva merita, accennerò brevemente a quel movimento corale –la resistenza appunto- che da molti storici viene accomunata ad un secondo Risorgimento, seppur nel distinguo necessario dal diverso contesto storico e dal conseguente rapporto di causa-effetto. La RESISTENZA fu un grande movimento unitario, spontaneo e partecipato, in cui confluirono uomini e donne di provenienza diversa e di diversa condizione sociale. Ma ognuno dei protagonisti fu consapevolmente partecipe di una medesima scelta di vita, maturata all’interno delle proprie coscienze e forgiata dalla drammatica esperienza della guerra. Puro amore per la patria, attanagliata dall’oppressione nazi-fascista, animò i Resistenti e certamente non spirito d’avventura. “Viva l’Italia” furono infatti sempre le ultime parole di quegli eroi prima di affrontare il martirio, nell’accomiatarsi dalla vita per entrare nella storia. La Resistenza, quindi, non è il patrimonio di una sola fazione, di un solo credo politico, ma di un’intera nazione. Fu un movimento unitario, sia ideologico che armato, con aspetti complessi e talvolta contraddittori, il cui obiettivo principale, come ho già detto, fu la liberazione dal gioco nazi-fascista. Tale obiettivo costituì il collante interno al movimento, che ebbe caratteristiche diverse nel centro-nord e nel sud del paese. In Sicilia, per esempio, l’oppressione della dittatura fascista contro gli oppositori non fu lieve, così come si evince dall’indagine storica dello studioso favarese Castronovo, che nell’esame di numerose lettere di condannati favaresi al confino o ad una dura carcerazione (“Eccellenza vi supplico”….) mette in rilievo l’uso sistematico di una punizione così dura –il confino- che privava le famiglie di braccia-lavoro e quindi ogni possibilità di sussistenza. Meritano giusta memoria anche coloro che militando nella lotta armata si opposero silenziosamente al regime, sostenuto da un sistema poliziesco occhiuto ed ottuso, per dare sostegno ai PARTIGIANI sia sulle montagne che nelle città: i contadini che li sfamavano e davano loro ricovero, il clero che li nascondeva, i molti borghesi, fra cui impiegati e funzionari dello stato, i semplici civili che con sprezzo del pericolo e molto coraggio li sostenevano in tutti i modi possibili. Per non dimenticare i militari, fra cui gli alpini e i molti reduci dalle disastrose campagne di Russia e Grecia, i carabinieri, il fronte militare clandestino, costituito a Roma con ver e proprie unità di combattimento, militarmente formate ed organizzate e guidate da ufficiali, che dopo l’8 settembre abbandonarono la divisa e serrarono i ranghi all’interno di un movimento unitario, rifiutando di entrare a far parte della Repubblica sociale di Salò e non dover combattere da Italiani contro altri Italiani. Ma il quadro generale non può dirsi completo se non ricordiamo al suo interno, per esigenze di tempo, seppure in maniera sintetica e certamente non esaustiva, altri aspetti della Resistenza, quale la “zona grigia” composta dagli “attendisti” e “quietisti” cioè di coloro che “stavano alla finestra” ad aspettare che “passasse la nottata” per dirla con Eduardo De Filippo (Napoli milionaria), quelli che Sciascia chiamò “gli eroi della sesta giornata”, pronti a salire sul carro del vincitore a vittoria conseguita.Ma vi fu anche una categoria abietta: quella delle spie e dei delatori, dei quali non c’è archivio storico che non abbia registrato lunghi elenchi, atti a produrre dati anagrafici, fatti, delitti, delazioni, compiute per vendette personali, o peggio, per premi in denaro, o più banalmente, per naturale malvagità e ferocia. Se i tribunali speciali all’indomani della liberazione comminarono pene severe e severissime, tuttavia per la ricostruzione morale e la pacificazione del paese, i vincitori decisero per una ragionevole clemenza, anche se permane in eterno nei loro confronti la damnatio memoriae.  A più di 70anni di quell’immane tragedia che fu la guerra sul cui ricordo si è stratificata la polvere del tempo, se vogliamo passare il testimone di pace ai nostri discendenti, dobbiamo predicare il culto della memoria, perché quanto è accaduto non avvenga più, culto doveroso quanto il perdono senza il quale la parola pace è solo un flatus vocis. I Siciliani nella lotta di liberazione: Calogero Marrone È lungo l’elenco dei Siciliani che contribuirono a liberare l’Italia dall’oppressione straniera e dal gioco della dittatura. Furono numerosi a fare il percorso contrario ai liberatori della nostra isola dal dominio borbonico e a contribuire con l’intervento armato all’unità d’Italia. Per lo più confluirono nel nord-Italia laddove le forze nazifasciste martellavano senza sosta i territori occupati e difesi strenuamente dalle formazioni partigiane, dagli oppositori e dai civili, di ci si è detto. Fra coloro che materialmente non imbracciarono le armi, ma si spesero fino al sacrificio della vita c’è il favarese: Calogero Marrone. Chi fu quest’uomo, nato a Favara nel 1889 e trasferitosi a Varese nel 1931? Siamo venuti a conoscenza della sua storia grazie alle ricerche di due giornalisti di un quotidiano varesino: Franco Giannantoni ed Ibio Paolucci, che le pubblicarono nel libro “Un eroe dimenticato”, tracciando senza retorica la figura e l’azione nonché la sobrietà e l’asciuttezza di quel funzionario statale. Antifascista ed oppositore convinto, anche alla luce del sole, per questi motivi al suo paese conobbe il carcere agrigentino. Perduto il posto di impiegato comunale al Comune di Favara, sposato e padre di quattro figli, decise di trasferirsi con la sua famiglia a Varese, quale vincitore di un concorso pubblico in quel Comune. Curato ed elegante, irreprensibile sul lavoro, stimato dai suoi più stretti collaboratori, si distinse nel movimento antifascista. Rapida e brillante la sua carriera: dal 31 al 38 ricoprì tutti gli incarichi fino a divenire Capo dell’Ufficio Anagrafe, alla testa di 12 impiegati. Per capire l’importanza del suo impegno politico, bisogna ricordare come Varese, città di frontiera, subito dopo l’armistizio e le prime stragi naziste sul lago Maggiore (Hotel Meina) fu presa di assalto da fuggiaschi, soprattutto ebrei, da antifascisti, da giovani di leva, che guardavano alla Svizzera come Terra promessa. Marrone, quindi, con la sua veste esteriore di funzionario esemplare, dopo l’8 settembre del 43 divenne una pedina fondamentale nella lotta antifascista, che tra mille difficoltà aveva iniziato ad abbozzare una strategia organizzativa.Ma come fare per agevolare i movimenti clandestini di chi varcava il confine o, venendone respinto, cercava di nascondersi sotto falsa identità? Marrone convinto profondamente che il dovere di ogni Italiano fosse quello di combattere con ogni mezzo i nazifascisti, trasformò il suo ufficio in un campo di battaglia da dove, in collaborazione col C.N.L. (comitato nazionale di liberazione) forniva documenti d’identità di copertura, e non solo agli ebrei, e molto spesso anche armi, all’interno di una rete di collaboratori fidati. Ma ad un ceto punto l’ingranaggio s’inceppò a causa di una delazione, forse partita dal suo stesso ufficio: non ci sono prove ma allo stato attuale solo supposizioni. Pur immaginando la sorte che l’attendeva, sebbene avesse avuto notizie imminente arresto, rimase fermo al suo posto, per non fare correre rischi alla famiglia. Per cui non rimase sorpreso più di tanto, quando il 7 gennaio 1944 due ufficiali tedeschi lo arrestarono con l’accusa circostanziata di avere fornito documenti falsi ad Ebrei ed antifascisti, consentendo loro di mettersi in salvo. Con la borsa già preparata, inizia quella che egli in una delle poche lettere giunte alla famiglia, chiama la mia via crucis, speriamo senza il Golgota. Il suo tragico peregrinare ni diversi luoghi di detenzione dove alla torture, maltrattamenti e le malattie, si aggiunse anche il dolore di dover subire il silenzio dei familiari imposto dalla censura. Morì a Febbraio del 1945 a Dachau, “quando stava per sorgere il dolore della libertà”- Nel 1994 la comunità ebraica, che lo riconobbe “Giusto fra i Giusti” l’ANPI ed il Comune di Varese, in attesa di dedicargli una via (cosa che avverrà domani 28 Febbraio 2017) hanno posto, a perenne ricordo, una lapide marmorea davanti all’ufficio anagrafe. Fin qui la storia di Calogero Marrone, uomo ed eroe, la cui vicenda insieme ad altre di quel periodo tragico ed indimenticabile, mi hanno scosso dalla routine, dal taedium vitae, dall’inerzia spesso tipica della condizione umana, riportandomi al mio progetto originario di vita, la ricerca storica e lo studio degli argomenti che in gioventù mi hanno appassionato e che ho onorato, una volta concluso il mio percorso lavorativo. Nell’avviarmi rapidamente a concludere, mi corre l’obbligo di ricordare l’origine di questo mio modesto lavoro, dedicato a tutti i miei alunni, in particolare a quelli dell’Ambrosini cui sono molto legata, perché da loro ho ricevuto molto di iù di quello che ho dato, permettendomi di diventare quella che in piena modestia sono. Credo fortemente nella promessa e nel progetto, da parte della passata Amministrazione comunale di realizzare, nella casa natale di Calogero Marrone, il Museo della Memoria, dedicato al “Perlasca di Favara” (come lo ha definito nel suo libro lo scrittore e storico Gaetano Allotta) ma anche a quanti hanno patito ingiustizie e persecuzioni nel passato, per custodire le testimonianze, le tracce storiche di civiltà nobilissime che si sono avvicendate. Per ricordare gli studi, l’impegno, ‘intelligenza vivace di quella generazione d’intellettuali, d’imprenditori del sapere che a Favara non sono pochi e si adoperano perché questa città sia degna degli eroi che ha generato e sia orgogliosa delle memorie storiche che ne derivano, che devono essere custodite gelosamente poiché costituiscono la ricchezza più grande che si possa sperare di possedere.Prof/ssa e ricercatrice Angela Vassallo.

Carmelo Castronovo

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