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La scuola… è davvero pronta a cambiare la scuola?

pegasoPANIFICIO CANNATELLO

 

La domanda è proprio questa: dopo la buona scuola, la scuola è davvero pronta a cambiare la scuola?…. entri in aula, in qualsiasi aula, non importa quale e ce l’hai davanti, li vedi ed è come se gli leggessi negli occhi la pesantezza dello stare in classe che nemmeno la leggerezza del tuo accompagnarli li conforta. Pur sapendo di essere rispettati, ‘visti’, accolti e seguiti, non riescono a dare più di ‘niente’…  è come se non si concedessero pur riconoscendoti, come se stessero a guardare pur essendoci, come se fossero assenti pur essendo presenti… fa davvero male vederli, osservarli, così, in attesa dell’attesa che qualcosa cambi, come se il cambiamento dovesse arrivare dall’esterno, da fuori, da una fortuna, un’amicizia… da un non si sa che.

biowoodheater

 

Mentre loro stanno a guardare la vita scorre  e li rincorre, li frustra e li inibisce, li congela e li ammutolisce… stiamo contribuendo a far crescere così tanto mal-essere che se non ci muoviamo avremo perso altre occasioni… sono ragazzi a cui mancano le parole per raccontarsi, esprimersi, fare parlare il desiderio, la delusione, il dolore, la rabbia… come anche la gioia che sentono nel silenzio espresso solo da smorfie che lasciano capire e che non riescono a ‘dire’… quanta tristezza in quei volti poveri di profondità e così cosparsi di niente, di quel niente che ha le sembianze dell’apatia, dell’indifferenza, dell’anaffettività come anche dell’aggressività, del consumarsi consumando amicizie, iPhone, computer o persone e cose come se  queste valessero… e poi scorgere il volto smarrito dei loro genitori così agguerriti/frustrati nel difendere senza se e senza ma i propri ragazzi dagli insegnanti visti oramai come notai dei propri desideri/aspettative e non più come compagni di viaggio coi quali  condividere percorsi di formazione mirati al miglioramento della qualità della vita dei loro stessi figli e poi della comunità  nel suo insieme, lascia esterrefatti… ciò detto non mi resta che sperare che tanti dei nostri ‘ragazzi’ possano essere visti da una scuola, da una chiesa, da un associazionismo, da uno Stato, assenti, distratti… troppo legati cioè ad una sorta di miopia che non consente loro di andare oltre i propri limiti (giganteschi)… e anziché creare i presupposti per un’effettiva emancipazione culturale e sociale dei giovani, li mantiene nell’inopia, nell’inquietudine e nella dismaturità… questo, ahinoi, si chiama DISAGIO DIFFUSO ovvero allontanamento da sé… è quella forma di incastro che ti rende invisibile e ti porta all’aggressività o alla chiusura come forma di reazione al ‘vuoto’ che hai dentro.

 

Dante ebbe a scrivere più di 700 anni fa, nel suo Inferno (Canto XXVI) “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”…rincara la dose in una sua asserzione U. Galimberti “le meditazioni su Nietzsche, di Heidegger e di Jaspers, hanno evidenziato col massimo rigore l’essenza metafisica del nichilismo e le sue profonde tracce in tutti gli aspetti dell’anima occidentale.”…. come dire(?) il disagio ontologico non è da ora che abita questa società consumista, individualista e poco propensa a fare rete per costruire i presupposti di una comunità più vicina alla vita. 

 

Quei ‘corpi’ intorpiditi ed annichiliti dalla pigrizia perché mortificati da percorsi (anche) scolastici pensati in un mondo che non è più di questo mondo, si abbandonano davanti al cellulare visto come unica finestra/feritoia/monade per sfuggire alla noia di un presente che li rincorre per fermarli, bloccarli e togliere loro il piacere di imparare una professione o semplicemente spingerli verso l’autonomia e l’indipendenza dalla famiglia d’origine per farsene una propria… ma le prospettive appaiono sempre più vuote come vuoto è il presente che vivono… e quando cerchi di smontarne il ‘disagio’ scolastico ti imbatti contro quello esistenziale molto più complesso e profondo di quello in presenza davanti a quel cellulare coperto dalla cartella, dal diario o addirittura poggiato sul banco senza preoccuparsi di essere ripresi dall’insegnante che proprio nel cellulare scorge il disinteresse verso le proprie ‘incursioni’ didattiche. 

 

“Se il disagio giovanile non ha origine psicologica ma culturale, inefficaci appaiono i rimedi elaborati dalla nostra cultura, sia nella versione religiosa perché Dio è davvero morto, sia nella versione illuminista perché non sembra che la ragione sia oggi il regolatore dei rapporti tra gli uomini, se non in quella formula ridotta della “ragione strumentale” che garantisce il progresso tecnico, ma non un ampliamento dell’orizzonte di senso per la latitanza del pensiero e l’aridità del sentimento.” (U. Galimberti) Constatato ciò ecco entrare in gioco la teoria/prassi – elaborata dal Dott. Mariano Loiacono e ripresa in altri precedenti contributi – come antidoto al disagio in ogni sua declinazione ritenuta indispensabile per ricostituire quel tessuto fetogenetico (intero) costretto, ahinoi, allo stress di una condizione antropico/embriogenetica (di parti) senza precedenti.

La scuola non può stare a guardare e pertanto rimbocchiamoci le maniche e ri-mettiamoci in servizio… per capire se la scuola… è davvero pronta a cambiare la scuola… da prima che subito!!!

Angelo Vita

Pedagogista – Docente di Filosofia e Storia