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Il pluralismo migliora l’informazione Nell’era dell’informazione l’ignoranza è una scelta

pegasoPANIFICIO CANNATELLO

Oggi, ma in effetti forse da sempre, quando l’informazione era definita il quarto potere, il tema dell’informazione è al centro della discussione per i suoi effetti sulla conoscenza e quindi sulla democrazia.

Ma una differenza fondamentale è che nell’era di Internet le fonti da cui attingere le notizie si sono di molto amplificate.

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Ma la questione delle “fake news”, false notizie o “bufale” oppure delle notizie volontariamente nascoste, censurate o manipolate non nasce oggi, tutti i regimi ne hanno fatto e ne fanno largo uso.

Non appartiene solo alla Rete e riguarda piuttosto l’intero sistema dell’informazione. Cartacea e digitale, professionale e artigianale, spontanea e diffusa.

Dunque, non è neppure una sola prerogativa dei social network, coi grandi propalatori di notizie, opinioni e commenti che Internet consente di diffondere in tempo reale: ogni giorno, ogni ora, ogni minuto della nostra vita collettiva e a volte personale.

Secondo me, non servono le “regole europee” né le Agenzie internazionali invocate recentemente dal presidente dell’Antitrust Pitruzzella, per mettere sotto controllo la Rete. Né tantomeno le “giurie popolari” desiderate dal leader del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo, per giudicare i giornali.

Ciò non esclude, tuttavia, che la querelle sulla cosiddetta post-verità richieda una riflessione comune, da parte di chi diffonde informazione a qualsiasi livello o in qualsiasi forma ma anche da parte di chi la riceve.

L’esigenza di una “buona informazione”, rigorosa e attendibile e senza censure, resta tuttora di grande rilevanza e attualità.

La virtualizzazione delle notizie, combinata con la proliferazione delle fonti, ha provocato la svalutazione del prodotto.

Una volta, si diceva “l’ha scritto il giornale”, “l’ha detto la radio” o “l’ha detto la televisione” per pensare o accreditare che fosse vera, anche se cosi magari non era.

Una volta c’erano gli imbonitori, quelli che parlavano e parlavano, cercando di fare passare dei messaggi, costituiti da menzogne, che avevano lo scopo di convincere i creduloni.

Bisogna rifuggire da chi avendo anche una minimo di possibilità di far transitare una qualsiasi notizia, pensa di poter esercitare un potere e non un servizio, perché costui è facile che la manipoli.

Sonò cambiati i mezzi di comunicazione e gli imbonitori non solo non sono scomparsi, ma sono aumentati di numero, approfittando dell’amplificazione che danno loro i mass-media e dell’aumentata credulità di una popolazione che è sempre più corta di memoria, nonostante la diffusione esponenziale delle informazioni.

Oggi i comunicatori più sofisticati sostengono che ripetere una bufala molte volte al giorno può passare per verità.

Ciò accade anche perché la gente non sempre è in possesso di strumenti valutativi che gli derivano dallo studio, dalla lettura e dalla conseguente capacità elaborativa di mettere insieme le informazioni e di capirne la portata. Quasi tutti si limitano a stare sulla soglia della conoscenza, perché entrarvi comporta fatica e sudore, oppure perché non hanno il tempo necessario per l’approfondimento.

Ai giorni nostri diventa sempre più difficile credere a un blog, a un intervento su Facebook o a un “cinguettio” su Twitter.

L’antidoto più efficace, secondo me, contro la deriva mediatica, dunque, è la “controinformazione diffusa”, ma nello stesso tempo e allo stesso identico modo e con la stessa identica valenza è la “lettura diffusa” cioè il pluralismo delle voci, l’incrocio delle fonti, il libero confronto, e nello stesso tempo l’informazione confrontata, analizzata e criticata.

Un compito e un ruolo fondamentale spettano ancora all’informazione, cartacea o elettronica: a patto che sia senza censura, veritiera, corretta, documentata, attendibile e se possibile autorevole. Ma soprattutto, autonoma e indipendente ma abbisogna anche di un cittadino libero, curioso, informato e bene informato, che sappia scavare, approfondire e analizzare l’informazione.