LA DIDATTICA DEL DIS-AGIO nasce per essere originale non solo nell’approccio olistico alle problematiche affrontate ma anche nel taglio linguistico-ludico utilizzato.
Il linguaggio de LA DIDATTICA DEL DIS-AGIO si contraddistingue dal linguaggio corrente in quanto entra nella parola vivacizzandola. Nella lingua greca antica i verbi parlare, dire, raccontare si riferivano, ad avviso di Martin Heidegger, non solo al sostantivo corrispondente al logos ma anche al verbo leghein che significava anche conservare, raccogliere, accogliere, come anche ascoltare, ma non solo questo… il logos della parola sconfina nell’allegoria, nella parabola tanto in uso nei testi sacri utile a rendere semplici ed appetibili gli insegnamenti evangelici. Ed è in questa ottica che s’innesta la scelta di ‘giocare’ con la parola nelle sue diverse e contrastanti significazioni.
A partire dalla copertina ho voluto dare valore a questa scelta linguistica per un duplice motivo:
Il disagio l’ho messo in cattedra perché ha tanto da insegnarci al fine di educarci all’ascolto delle proprie e delle altrui parti ‘offese’ o sofferenti, che necessitano di essere accolte, comprese e superate. Il disagio, pertanto nel mettersi in cattedra si antropomorfizza per ‘farsi/trasformarsi’ in DIDATTICA
Il disagio viene distinto in DIS prefisso che equivale al disordine, al negativo… e AGIO che significa ‘vicinanza’ o semplicemente adiacente a sè. La parola nella sua interezza deriva dal tardo latino “dis-adiacens” che significa – secondo l’interpretazione, che condivido, del dott. Mariano Loiacono (psichiatra, psicoterapeuta ed epistemologo globale) – “colui che non è adiacente, colui cioè che non giace presso; colui che non sta vicino a”. Questa parola indica quindi un “allontanamento”, uno strappo divisorio di qualcosa che dovrebbe invece essere un intero. Il disagio è il sintomo che ci avverte che ci stiamo allontanando dal nostro stato naturale. Ci stiamo allontanando dal nostro Jahvè che etimologicamente significa “Io sono colui che sono”. Quindi ci stiamo allontanando da noi stessi, da “ciò che solo ognuno di noi, è”.
Un’altra caratteristica che il lettore trova sfogliando il libro è data
dai puntini di sospensione ‘…’. A differenza degli altri “segni” di interpunzione, non hanno lo scopo di chiarire, suddividere, definire, ma di sospendere un discorso e/o di lasciare intuire che si accede all’oltre in quanto le parole non sempre riescono a ‘leggere’ ciò che le emozioni esprimono. Ed è da ricercare in questa scelta la presenza quasi in ogni ‘titolo’ di questi segni d’interpunzione che sono addirittura 43 quasi quanti sono gli interventi contenuti nel saggio per non contare quelli presenti in ciascuna pagina
dai punti esclamativi (sempre tre) ‘!!!’ David Shipley e Will Schwalbe, già nel 2007 l’avevano previsto. Scrivevano, infatti, che “il punto esclamativo è uno strumento pigro ma efficace per combattere la mancanza di tono delle email”. Fino a quando le email (gli scritti) non riusciranno a trasmettere calore umano, “continueremo a disseminarle di punti esclamativi”, ed io sento che oramai come un fiume in piena non è possibile fermarne l’uso
dal trattino “-” che viene utilizzato a iosa per separare gli elementi di cui è costituita singola parola volutamente scomposta nei suoi diversi significati se non opposti come ad esempio DIS-AGIO (prima accennato) s-copre (pag. 14), s-passo (pag. 37), in-attualità (pag. 46), regali-amo-ci (pag. 58), semplice-mente (pag. 97), s-parla (pag. 135), …
dalla parentesi tonda “( )” utilizzata in grammatica per racchiudere un inciso, un commento, un ampliamento del discorso che nel caso del saggio in esame vuole mettere a nudo gli opposti che si nascondono in ogni sana affermazione legata ai ragionamenti del tipo ‘Questo (non) lo dice Freud’ come anche L’in-attualità di Marx e Gramsci…può cambiare il mondo (?)…ed altri ancora.
La semantica lessicale e frasale, che identifica LA DIDATTICA DEL DIS-AGIO, poggia su una visione diacronica e sincronica che ogni termine in uso contiene e libera nel suo porsi come logos e caos direbbe il filosofo/teologo Vito Mancuso. È come se i termini utilizzati consentissero al lettore di navigare oltre le fenomeniche apparenze per intercettare le parti metalinguistiche e storiche che vi si annidano e dalle quali si librano concetti che spingono il lettore verso nuovi e divergenti punti di vista più legati alle singole realtà e quindi al fondo comune che la vita s’incarica di farci sapere-vedere e contemplare.
Mi viene in mente l’intervento Da soli senza il sole si è più soli… nel disagio o La scuola KANTiere di vita e conoscenza in cui le parole assumono valore polisemico e sembrano divertirsi nel rincorrere e ricercare significati adeguati alla profondità dell’intervento. Questo, evidentemente rimanda ad un linguaggio dalle connotazioni passionali in cui le singole parole, le frasi ed i periodi, assumono peculiarità proprie che chiedono al lettore di immergersi tra le tante pieghe che la scrittura quando si vivacizza acquisisce. Il sapere – che prende dal mettere insieme diverse ed intrecciate disciplinarità – si metamorfizza in sapore per apparire e poi essere spirito e corpo del logos che lo determina.
L’espressione evangelica del ‘verbo che si fece carne’ nel saggio de LA DIDATTICA DEL DIS-AGIO, abita ogni riga, ogni pagina, ogni intervento per dare ‘battito cardiaco’ alle espressioni prese dalla vita vera, dalla sofferenza e dalla capacità di trasformare le cadute – come direbbe Massimo Recalcati – in occasioni, in opportunità di crescita. Evidentemente queste considerazioni, assolutamente, laiche vogliono rafforzare l’idea che anima il saggio per proporsi come vero e proprio strumento di rete a contrasto con le diverse forme di disagio che chiedono di essere viste, ascoltate ed elaborate per nuovi salti precipiziali sempre più fecondi e produttivi. Ed è un piacere potere divertirsi scrivendo ed appassionarsi leggendo.
Angelo Vita
Pedagogista e docente di Filosofia e Storia