Paolo Crepet… che fa la lezioncina ai genitori e agli insegnanti salvo evitare di dirci dove sta rispetto alle problematiche sollevate che non mi sembra l’abbiano scosso più di tanto. Crede davvero che dall’alto della sua nobile professione possa dire quanto direbbe senza suscitare tante perplessità? Che la famiglia e la scuola siano barche che navigano in mare aperto senza nocchiere lo sappiamo… e da tempo. Di certo le responsabilità – che lui ha presto individuato – sono così diversificate che faremmo bene a rifletterci un po’ di più prima di attaccare a testa bassa …scuola e famiglia, solo per far parlare di sé come se fosse un profeta col compito di presentarci il ‘disagio’ come lui pensa che sia e non come di fatto è. La spettacolarizzazione del punto di vista può metterci in vetrina – per un periodo – ma a lungo andare ci scopre rispetto al ruolo/funzione che si ha, e per quanto lo riguarda assai conformato a modelli istituzionali asserviti ad una certa sociologia di comodo o alle industrie farmacologiche che sul disagio costruiscono i propri profitti.
Paolo Crepet è come il vetraio che si lamenta del vetro rotto pur riparando i vetri, come il calzolaio che si lamenta delle scarpe rotte o il sarto che si lamenta degli abiti scuciti da cucire pur riparando le scarpe o allestendo i vestiti. Fuori dalle similitudini Crepet dovrebbe mettersi d’accordo con se stesso perché ciò che dice conflitta e di parecchio con le sue scelte professionali. Da psichiatra continua ad abbracciare una disciplina che ‘vive’ sulle disgrazie altrui… un dato? Dagli anni ’50 ad oggi i DSM (vocabolario biblico per la psichiatria) sono aumentati del 500%… siamo al DSM5 acronimo che risponde (in poesia) alle diagnosi cliniche da ‘tatuare’ sulla pelle di chi si vive un disagio esistenziale che oramai è esclusivamente patologico. Chissà cosa ne pensa (?) il Crepet di questa crescita diagnostica e dell’aumento vertiginoso delle prescrizione psicotrope. Pensate che se lo sia mai chiesto? Ho dei dubbi che mi farebbe piacere poter sciogliere, magari attraverso un discorso franco sul disagio che attraversa la scuola di base come la stessa Università.
Come si fa ad individuare sulla valutazione scolastica l’aspetto più inquietante del fallimento? Siamo agli slogan perché, oramai, Crepet scrive per slogan. Troppo semplice sarebbe individuare nell’educazione familiare e scolastica la responsabilità sull’inquietudine che si vivono i nostri ragazzi in rapporto ai familiari e alle figure adulte anche a scuola… che ne sa l’esimio psichiatra se la scuola è diventata un luogo-spazio in cui il disagio col tempo è – sempre di più – diventato residenziale e i ragazzi non sanno se quelle pareti contengono un’attesa anziché una speranza. Per i nostri ragazzi studiare e non sapere dove andare e magari studiare sullo stesso libro per raggiungere gli obiettivi di tutti e ritrovarsi fuori dalla Scuola Superiore a dover partecipare a concorsi selettivi per accedere alla facoltà desiderata e poi risultare esclusi da tutto e dover ricorrere alla famiglia-stato per farsi garantire un piatto di lenticchie o nella migliore delle ipotesi un posto di lavoro, è un dramma… che ne sa l’esimio psichiatra se il ‘4’ o l’1’ da lui avuto non sia vissuto dai ragazzi come un’ulteriore mortificazione inflitta da una scuola che non riesce più a garantire ciò che promette perché irresponsabile rispetto ai destini dei nostri alunni… che ne sa? Penso nulla, eppure scrive, rilascia interviste, organizza convegni per dire semplicemente siete messi davvero male.
Ammettiamo che sul ‘siete (siamo) messi male’ possiamo essere d’accordo, ma qual è la ‘terapia’? Certo che se ‘una scuola che non boccia è una scuola marcia’ non dovrebbe essere difficile arrivare a comprendere di chi è ‘figlia’ la scuola se non di un modello di società in cui i tanti Crepet costruiscono le proprie fortune senza dare alcun contributo fattivo per cambiare l’esistente. Anzi. Su questo disagio si innesta la pubblicistica dell’esimio psichiatra che tra una somministrazione e l’altra di benzodiazepine e di depôt (long-acting) contribuisce a legittimare le pratiche psichiatriche che storicamente hanno messo il ‘disagio’ in pit stop senza contrastarlo attraverso un lavoro riabilitativo che la psichiatria non ha mai fatto proprio. E penso non sia sufficiente affermare che le prescrizioni psichiatriche non debbano essere a tempo indeterminato se poi di fatto lo sono e continuare a stare dentro questo mondo che non ha alcuna intenzione di cambiare se stesso e nemmeno migliorare la condizione di chi vive un disagio e viene ‘addomesticato’ e messo a ‘guinzaglio’ per poi magari essere oggetto di una bella predica da parte di convegnisti alla Crepet che sulla riabilitazione non si sporcano le mani perché troppo impegnati a scrivere e descrivere a presentare e rappresentare il loro punto di vista stiracchiato rispetto all’epistemologia psichiatrica e ai bisogni reali di chi si vive forti disagi esistenziali che vanno trattati con dosi massicce di relazioni anziché di farmaci che gli stessi psichiatri si permettono di dire che provocano gli stessi effetti che combattono. Se vi capita di comprare l’ultima fatica editoriale di Crepet cercate di scindere lo psichiatra dallo psicologo, il convegnista dal pubblicista… dopodiché buona lettura col ‘Coraggio’ di Crepet.
Angelo Vita
(Psicopedagogista – docente di Filosofia e Storia)