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IL 4 NOVEMBRE I SOLDATI FAVARESI E LA MANCATA RIFORMA AGRARIA

Il 4 Novembre di 100 anni fa cessarono le ostilità fra italiani e austriaci con l’armistizio di villa Giusti a Padova.
L’esercito italiano, dopo la disatrosa sconfitta di Caporetto, era praticamente al tappeto.
Il generale Diaz, nella speranza di rianimare  i soldati, promise ai meridionali una  generosa riforma agraria.
“Terra ai soldati e terra ai contadini” si gridò nelle aspre rupi delle Alpi.
Nei tre anni di guerra, i soldati siciliani furono tra i più penalizzati perché sconoscevano, in larga parte, la lingua italiana, il territorio, il clima estremamente freddo, la neve, e in pochi capirono le motivazioni politiche di quella sangiunosa guerra.
Con la fine delle ostilità, fu emanato il decreto “Visocchi” che migliorò, solo sulla carta, i patti agrari.
Morale della favola, ne i nostri soldati ne i nostri contadini ebbero quella terra che gli venne promessa sull’orlo del baratro dalla debole monarchia italiana.
Per rivendicare i propri diritti, il proletariato favarese, dal 1920 al 1923, diede vita a delle forti agitazioni. Ma con l’avvento del fascismo il movimento si dissolse.
Il prof. Gerlando Cilona, ha raccolto le biografie dei 276 caduti favaresi nel corso della prima guerra mondiale nel suo libro dal titolo “Storie senza storia”.
Fra i favaresi illustri ad aver perso la vita nella “grande guerra” spicca il nome del capitano Antonio Vaccaro, all’epoca sindaco di Favara. Fra quelli che, invece, riuscirono a sopravvivere e, successivamente, a scrivere pagine di storia importanti per il nostro paese e per la nostra nazione ricordiamo Gaspare Ambrosini (presidente della Corte Costituzionale) e Calogero Marrone (Giusto fra le Nazioni).
Il popolo favarese ebbe un grande trasporto emotivo durante gli anni della guerra a causa del pesante tributo di sangue versato che, addirittura, superò di gran lunga il dato della seconda guerra mondiale.
Non a caso, il 23/04/1923 venne inaugurato il monumento ai caduti in piazza Cavour che divenne vero e proprio luogo di pellegrinaggio per la ricorrenza del 4 novembre.
Mio padre mi ha raccontato che, negli anni ’70, il 4 novembre era un vero e proprio giorno di lutto dove tutte le famiglie dei nostri compaesani morti in guerra si univano sotto quel monumento anche solo per deporre un mazzo di fiori. A molti reduci venne riconosciuta l’onorificencenza di “Cavaliere dell’ordine di Vittorio Veneto”. Un titolo prestigioso che non sopì gli sforzi, gli stenti e le paure dei nostri soldati in quell’inferno che furono le trincee.
Oggi, a 100 anni dai fatti, il ricordo si è notevolmente affievolito e l’amministrazione comunale non ha organizzato alcun momento di approfondimento culturale.
Senza memoria non c’è futuro.
Pasquale Cucchiara