Capita di stare nella stessa aula, frequentare gli stessi spazi… e non incontrarsi. Capita di lavorare sugli stessi testi/argomenti e non s-velarsi. Capita scrutarsi e non capirsi… i linguaggi del corpo non sono sufficienti per comprendere i labirinti propri dell’anima ch’è notorio come si conceda solo all’arte… ed è così che ci sono voluti dei versi per riuscire a leggere ciò che di fatto tanti ragazzi pensano, sentono e scrivono… Siano bene-detti i mesopotamici per averci regalato la scrittura, vero ‘archè’ della storia che siamo.
Ogni nostra azione, comportamento-atteggiamento, parla di noi in quanto persone cresciute in contesti specifici. È la parte speculare di ciò che siamo nella nostra interezza. È l’impronta esistenziale del rapporto che abbiamo e coltiviamo con noi, i nostri cari e la società in genere, insieme al desiderio di migliorarci e raggiungere l’intero che siamo stati nascendo e che vogliamo continuare ad essere crescendo… dopo, magari, che abbiamo attraversato, ostacoli frapposti da una vita stracarica di sorprese e di opportunità, di spinte e controspinte che ci portano ad andare oltre le difficoltà o ad interarcicon esse.
I versi/cantati e scritti da Chiara (studentessa diciassettenne del Liceo Statale ‘M.L.King’ di Favara ) vanno letti e ri-letti in questa direzione; ciò consente di fare teoria e comprendere, al di là delle eccellenti performance canore, della ragazza, le dinamiche che ad un occhio poco attento possono sfuggire, ma che sono assolutamente presenti.
Perché è conveniente, in questo caso, fare ‘teoria’ globale? Il significato etimologico del termine, che deriva dal greco antico, è “vedere – osservare – contemplare” mentre il termine‘globale’ ci rimanda ad una prospettiva olistica e/o ecologica. Ed è quello che proviamo a fare leggendo i versi di Chiara che ci mettono immediatamente di fronte a ciò che sono ‘scelte, rimpianti ed orgoglio…’ specie dei giovani, che riflettono luoghi/spazi antropici di cui vanno fieri per la varietà/diversità degli ambienti che si contendono lo stesso territorio dove soffia l’australe, il ‘levante’ e lo ‘scirocco’, a conferma di una vita dove s’intersecano, si intrecciano e convivono più parti che altrove faticano ad abitare la stessa terra… e pur soffrendo la condizione di ‘Anime infrante su di uno scoglio’non si può fare a meno di cogliere da queste parole, chiare di Chiara, la consapevolezza di essere bagnati/tutelati da ‘i mari più belli del mondo’.
In questi versi gli opposti danno vita ad un’armonica danza dove l’orgoglio e la freschezza dei giovani salperanno verso mete dove ci sarà posto per tutti perché ‘il sole che illumina un sogno’ tiene per mano ciò ch’è ‘passione, tristezza e ricordo’. Il sud fa da utero devotoa quanti continuano a districarsi tra ‘inganno, coraggio e ambizione’.Il sud, il nostro sud, per i giovani, si presenta ancora inclusivo, disponibile, aperto a tutti perché la nostra storia non ha mai chiuso i portia nessuno. È stata e continua ad essere la terra di Federico II detto stupor mundi (“meravigliao stupore del mondo”) o puer Apuliae (“fanciullo di Puglia”) ed è anche per questo che continua a presentarsi accogliente. E pur essendo la Sicilia un’isola, non isola, anzi, mette tutti a proprio agio. Sono stati i siciliani, semmai, a soffrire la discriminazione, i lavori duri… molto profondi, in tal senso, sono i versi che antropizzano le ‘barche’è che meritano maggiore attenzione.
Chiara, come tante/i, ha voluto/saputo distinguersi… questa sua parte ci arriva nuova, convinta e diretta. È un autentico aiuto/contributo per comprendere come lei (e voi ragazzi/e?) interpreti il suo/nostro tempo. Le parole, si sa, sono spesso strumenti indispensabili per fare luce laddove c’è buio o far emergere ciò ch’è sommerso. Da queste parole bisogna partire per raccogliere quanto il suo profondo sentire ci di-mostra. Si ritiene, pertanto, originale la metafora della ‘barca’, mezzo indispensabile per attraversare le acque profonde ed impervie, ed anche mezzo di salvezza che lo stesso Noè – in versione Arca – ha usato per dare inizio ad un mondo nuovo, un punto di vista più vicino alla vita‘in catene’,messa in crisidal diluvio universale. La barca pertanto salva… anche se noi andiamo verso la deriva, verso ‘gli scogli’, col rischio di affondare nelle ‘illusioni’perché trattati come ‘merci di scambio’… come dire: assistiamo attoniti al naufragio di una specie che, se non riesce a remare sulle tempestose e torbide acque del nostro tempo, dovrà fare i conti con una condizione disagicacomplicata e complessa.
La sensazione condivisa, evidentemente è di saperci “Schiavi di un punto di vista in catene”…e pertanto le ‘barche‘ devono poter sopportare/navigare acque stagnanti che l’arte, la poesia ed il canto, s’incaricano di farci osservare-vedere e contemplare.I suoi versi/versati, sono nel contempo, un grido di dolore e d’aiuto rivolto a quanti possono e non fanno ancora; hanno capito ma non osano; sanno e non agiscono, aspettano che altri muovano i primi passi. Eppure quando il desiderio viene deluso, ed il dolore non accolto, è la rabbia che prende il sopravvento sulla ragione… e noi abbiamo bisogno di convertire/tradurre questa rabbia in ricerca di un modo nuovo di stare insieme. Di dare maggiore valore alla vita che siamo e meno alle ‘merci’ che rappresentiamo per i faraoni dell’economia finanziaria dove tutto si misura col profitto… e di conseguenza la ‘ragione’si trasforma in ‘miseria‘.
Cosa vuol dire quest’affermazione che rafforza il precedente concetto del punto di vista ‘in catene’ perché a guinzaglio del mercato? Semplice: il valore che siamo non possiamo continuare ad affidarlo al possedere, al potere o al ‘dio/denaro’… perché saremo come ‘sabbia in cerca di chimera’ovvero qualcosa che esula dalla specie umana che siamo. Non ci si può accontentare o rassegnare all’idea che ‘Siamo rinunce e preghiere salpate ….’ o ‘echi di voci ignorate…”. Questo perché l’SOS, che i versati/versi lanciano, si rivolge a tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Sono versi che non vogliono, pertanto, dare voce ad una supplica o una preghiera, perché la loro essenza si rivolge a ciascuno di noi, giovane e meno giovane, alla Chiesa come alla scuola, all’associazionismo come ai mass media… ‘A ciascuno il suo’, avrebbe detto Sciascia, perché tutti ci possiamo dare una svegliata da un sonno/sogno difficile da consolare.
Angelo Vita
Pedagogista e docente di Filosofia e Storia