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I poveri non sono poveri? Hanno tutti un divano, magari pure in pelle, sul quale bivaccare sereni?

Mi rendo perfettamente conto che parlare di povertà dopo tanti festeggiamenti, potrebbe ritenersi non “adeguato”.

Forse non è nemmeno notizia, considerato che forse proprio loro, i poveri, non la leggeranno.

Forse non è nemmeno di moda parlarne visto che per i media l’unica informazione che fa notizia, ovviamente secondo loro, è l’ospitalità e l’integrazione.

Forse è anche una notizia fastidiosa la povertà, perché dovrebbe farci pensare e riflettere, ma il Natale non è questo?

Ma io ci voglio provare lo stesso, a costo di andare controcorrente, perché i poveri sono sempre più numerosi, non solo in Italia, e che la forbice, ricchi-poveri, si allarga sempre di più.

Tutti gli istituti di ricerca, istituzionali, pubblici, privati, organizzazioni no-profit e umanitarie e tutti i numeri grosso modo convergono.

In Italia vivono in povertà assoluta e a rischio di esclusione sociale più di cinque milioni di persone. Ma la situazione è ancora più pesante perché ci sono circa 9 milioni di persone (secondo l’Istat) quelli che non riescono a riscaldare decorosamente la loro casa, cioè milioni di concittadini che nemmeno entrano nelle statistiche dei poveri assoluti, ma sono poveri non aggettivati, che se ne stanno lì in un angolino delle classifiche senza riuscire a farsi nemmeno notare.

Il festante “abbiamo abolitola povertà” di Di Maio ricorda da vicino il trionfale “abbiamo abolito il precariato” di Renzi, robasolo buona per parlarne il giorno dopo, con entusiasmo o sarcasmo, e che però lasciano il problema quasi immutato.

Interessante, però, è come unastrana figura di “povero” abbia invaso il dibattito pubblico, il chiacchiericcio da talk show.

Una situazione di dramma, disagio reale e diffuso è stata trasformata in macchietta, in grottesca caricatura da commediaall’italiana. Nel dibattito politico sul reddito di cittadinanza (a prescindere da cosa ciascuno ne pensi), il principale problema è incrociare la parola “povero” con trucchetti di sopravvivenza. Ci saranno i “troppo furbi e i cretini di ogni età”, quelli che truccano l’Isee, quelli che aspettano la manna dallo Stato per girarsi i pollici o lavorare in nero, eccetera eccetera. Se si assiste ad un paio di tàlk show i cosiddetti “opinion leader” (resta sempre un mistero sapere chi li abbia titolati ad esserlo) vorrebbero far passare l’idea che “povero” significa “creaturaimproduttiva e pigra del Sud che sta su un divano”. Divano è la parola che adesso ricorre di più, una specie di immagine stereotipata: il povero sta sul divano e aspetta assistenza.

Come i terroni che non hanno voglia di lavorare e che ci “invadono”, comeil mantenuto, Il sussidiato. L’assistenzialismo è il termine più gettonato in questo periodo e in queste trasmissioni televisive, insomma li paghiamo per non farli lavorare, seduti sul loro, immancabile, divano.

Siamo sempre lì, insomma alla colpevolizzazione del povero che un po’ “non ha voglia”, “è colpa sua”, e il furbo che cerca di grattare qualche euro qua e là.

Ecco come e in quale modo, in questi sconclusionati dibattiti, si prova a risolvere il problema dei poveri, trasformati dai ricchi in meri possessori di divani e potenziali truffatori.

Si perpetua così l’atavica diffidenza borghese per la povertà e soprattutto si impedisce una seria riflessione sull’intero sistema economico.

Se negli ultimi decenni i poveri sono aumentati come dicono tutti e la loro distanza dai ricchi è aumentata vertiginosamente, significa che il sistema non regge e non funziona, ma è un discorso che pare rischioso affrontare. Dunque meglio continuare con la narrazione del finto povero che se ne approfitta: non costa e nasconde il problema e il povero vero.