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FAVARA OVEST e la riserva indiana di Agrigento

A una settimana dal giorno in cui è stato presentato alla città il manifesto dei disagi cui sono sottoposti gli abitanti di Favara Ovest, il tema del referendum dei confini tra Agrigento, Aragona e Favara non sembra aver fatto passi avanti.

In assenza di un qualsivoglia indicatore sull’orientamento prevalente del corpo elettorale dobbiamo affidarci all’impressione ricavata da contatti personali sulla imminente scadenza referendaria del 5 Maggio p.v. e cosi, se l’interesse pubblico è riferito, nella sua accezione contemporanea,al beneficio che la comunità favarese intende conseguire esprimendo la sua volontà attraverso il voto, siamo messi proprio male.

Non si incontrano facilmente gruppi di persone che discutono di come voteranno il 5 Maggio,se voteranno!

Il Comitato promotore che da decenni tiene accesa l’attenzione sul tema con tenacia, punta ad ottenere il quorum nell’ambito interessato non attribuendo eccessiva fiducia sul coinvolgimento dei favaresi che pure sono chiamati a pronunciarsi sullo scambio di territorio a compensazione della zona da acquisire alle virtu’dei servizi comunali di Favara.

Le uniche voci discordanti sono volte piu’ a giustificare l’astensione annunciata dal singolo che una fondata motivazione di natura fiscale,strategica ecc. perché piu’ che il pudore di non contrastare il desiderio di molti conoscenti a ritornare favaresi, puo’ l’agnosticismo radicale alle cose di interesse collettivo, generale e quant’altro non soddisfi esigenze personali o di gruppi, antica maledizione del costume politico locale.

 Il tutto mentre un’avanguardia culturale favarese si rifiuta di abdicare e fa celebrare al telegiornale regionale la rinascita culturale di Favara con un servizio sul noto FARM CULTURAL PARK e sul recupero di parte del centro storico.

Una insanata contraddizione sociale di una città a due velocità che esplode nel conto alla rovescia di un tempo che fugge quando mancano due settimane al 5 Maggio e alcuni temono che anche taluni di Favara ovest potrebbero astenersi dal referendum in segno di protesta come in qualsiasi appuntamento elettorale in cui manifestano il loro rigetto facendo mancare il quoum e vanificando l’evento.

In una partita cosi delicata per il civile svolgimento della vita quotidiana di decine di Famiglie un paese serio dovrebbe interrogarsi, dividersi se necessario, se lenire il disagio di quelle famiglie vale la rinuncia a una fetta di territorio destinato alle imprese.

Non succede nulla di percettibile invece. Nulla che somigli ad una manifestazione di solidarietà nei confronti di amici, conoscenti e paesani, come  piace chiamarci, che non sia qualche frase postata su facebook.

Mentre è del tutto evidente la rassegnazione in molti che il territorio in via di cessione, non sarebbe mai stato utile in  una città che non scommette su una visione di futuro condivisa, quanto piuttosto votata alla sua desertificazione.

E’ l’assenza di un pubblico dibattito tra soggetti politici e sociali che deprime la speranza nel cambiamento e mortifica le aspirazioni di quelle famiglie disagiate, altrimenti destinate a restare periferia di una Agrigento distinta e distante da una comunità di Favaresi ridotta a riserva indiana.

Un Consiglio Comunale che non si mobilità per un appuntamento che coinvolge il corpo elettorale che lo ha eletto e una amministrazione municipale che lo liquida come un’atto di ordinaria amministrazione.

Il fallimento del referendum sarebbe un ulteriore passo verso l’involuzione del senso civico della città, un monumento dissacratore, per molti, del tanto decantato sentimento di solidarietà dei favaresi e non ultimo la certificazione di un disinteresse generale al futuro della città e dei suoi figli.

Votare al referendum, quale che sia l’esito della volontà popolare, è una questione di identità sociale, di orgoglio civico,  una sintesi tra le spinte civili vive in città e interessi di esasperato individualismo. Un colpo di reni che affidiamo alla gioventù favarese.