Nietzsche aveva visto bene… aveva guardato oltre il proprio naso ed aveva assistito al concepimento di un’idea di mondo in cui non c’era più posto per l’uomo come era stato sino a quel momento conosciuto; non c’era più posto per lo stesso Dio e la religione cristiana perché fagocitata dalla nascente società capitalista che aveva decretato la fine di ogni illusione e l’avanzata nichilista di un’idea di uomo al servizio del mercato e senza Dio. In ‘Così parlò Zarathustra’ disegna l’identikit dell’uomo nuovo (copia/incolla del ‘fanciullo’) presentato in una delle pagine più belle di questa pubblicazione e che descrivono la metamorfosi obbligata che l’uomo deve viversi per andare oltre il disagio diffuso che l’epoca contemporanea ha profuso a piene mani ed oltre se stesso. L’uomo/cammello schiavo dei doveri del mondo che lo costringono ad una vita impossibile in cui si annulla pur di essere riconosciuto per la sua altruità è al capolinea poiché la sua vita è incastrata tra gli obblighi/doveri che per nulla gli consentono di esprimere i suoi bisogni-desideri ed il pro/gettarsi nel mondo. La consapevolezza di ‘soffocare’ nella non-vita pur di essere funzionale alla vita degli altri, lo porta a transitare nelle vesti dell’uomo/leone in cui il coraggio gli fa sposare l’idea dell’ ‘io voglio’ che è l’altra faccia dell’ ‘io devo’… è come se per contrappasso facesse l’esatto contrario del primo aspetto metamorfico, quindi anche questa trasformazione dal ‘devo’ – nulla a che vedere con l’imperativo categorico kantiano improntato sulla Ragion Pratica e pertanto sulla morale – al ‘voglio’ è parziale e di conseguenza men che feconda rispetto alla vita; è lo spirito creatore del ‘fanciullo‘ a togliere le ‘castagne dal fuoco’ di un uomo disarcionato dell’identità sua propria. Il ‘fanciullo‘ che chiude la terza metamorfosi coincide con l’oltreuomo (in tedesco Übermensch) contemplato anche dalle sacre scritture laddove si elogiano i bambini… chi non ricorda il ritornello che ‘se non ritornerete come bambini non entrerete mai’. L’uomo conosciuto da Nietzsche ha chiuso perché fragile, inconsistente, oggetto di attenzioni come canne al vento. Da una parte vilipeso dalla storia del suo tempo e dall’altra da una certa metastoria che addossa al cristianesimo le maggiori responsabilità… perché, secondo il filosofo tedesco, più anticristiani dei cristiani non ce n’erano in giro… era inconcepibile continuare ad illudere il mondo. Il cristianesimo era visto da Nietzsche come una grande menzogna.
Scriveva in proposito Vito Mancuso (docente di Teologia moderna e contemporanea presso la facoltà di Filosofia dell’Università San Raffaele di Milano) “…la falsità di cui Nietzsche accusa il cristianesimo riguarda ancor più l’incapacità di capire il mondo, come esso si muova e che cosa esso sia. Ora io chiedo a chi condivide la fede cristiana: di che mondo deve parlare la teologia? Di che mondo deve parlare il cristiano? Del mondo descritto dalla Bibbia e dalla dottrina, oppure di quello dell’esperienza quotidiana? Scriveva Karl Barth, il più influente teologo del Novecento, che “il pensiero, quando è autentico, è pensiero della vita, e perciò e in ciò è pensiero di Dio”. Il che significa che il pensiero, se non è pensiero della vita, non è neppure pensiero di Dio, non lo è perché è falso e solo la verità è pensiero di Dio. Chi intraprende il lavoro del pensare non si preoccupa se il suo pensiero possa in prima istanza risultare “pericoloso”, ma se sia o non sia “vero”, anche perché non c’è nulla di più pericoloso della falsità. La salvezza sta solo nella verità, nell’adeguazione alla terra ferma della realtà, e non c’è tensione etica più grande dell’amore per la verità e della volontà di aderire a essa, costi quel che costi. E’ questa la roccia su cui costruire la casa resistente dell’etica, mettendo in pratica il primo decisivo comandamento, troppo spesso dimenticato, cioè l’amore per Dio (l’assioma del pensiero teologico è: Dio = Verità, Verità = Dio; da cui discende che il culto spirituale più gradito a Dio è l’onestà intellettuale)”. Addirittura, Nietzsche, affermerà nell’ ‘Anticristo’ che il solo cristiano era stato Gesù… l’unico a non avere avuto paura di affrontare il suo destino a partire dalla storia in cui si era incarnato. Nel filosofo tedesco l’ oltreuomo, pertanto, è colui che riesce a trasvalutare (reinterpretare) tutti i valori della morale presente, oltrepassandola in modo da liberarsi da essa e da tutti i suoi condizionamenti (incluso quello di Dio e della religione) per fondare una nuova umanità, guidata dalla volontà di vita e da quella che chiama “volontà di potenza”. Da solo? Perchè no. Ma dev’esserne capace diversamente va accompagnato, aggiungiamo noi, da una rete di uomini e donne che sanno di essere in viaggio e mai fermi.
Il discrimine per segnare le distanze tra il filosofo tedesco ed il cristianesimo non è ‘ideologico’ o semplicemente pregiudiziale, perché ha una sua valenza nella vita quotidiana dell’uomo e della donna del suo tempo come del nostro tempo… schiodare il cristianesimo da una visione ultraterrena vuol dire, per Nietzsche, ridare senso alla verità storica del ‘qui ed ora’; significa, aggiungo, sporcarsi le mani a partire dall’impatto che una lettura storicizzata della realtà può significare nello spingere l’uomo a quel salto quantico che lo porta a costruire e progettare futuro in una terra che gli è presente e gli chiede di viverla come la vivrebbe un ‘fanciullo‘ libero dai tanti retaggi ed aloni che allontanano dalla ‘verità’… vissuta in chiave dogmatica, statica… allontanamento che ha determinato, di fatto, l’ingessatura delle nostre scuole legate alle tecniche dell’insegnamento e dell’apprendimento, più che alle dinamiche dell’apprendere e dell’insegnare, delle chiese che ripetono come un mantra ‘verità’ mai validate, degli ospedali psichiatrici che tendono alla cronicizzazione terapeutica… tutto ciò che è sistematizzato ed incastonato in protocolli ed interventi meccanici è figlio di ‘verità sempiterni’ che poco hanno a che vedere/fare con le dinamiche proprie della vita che sfugge per antonomasia alla staticità e al ‘sempiterno’ per le molteplici energie che libera in ogni suo alito ontico la vita.
L’oltreuomo di Nietzsche mi rimanda al passaggio che il disagio ci spinge a porre in essere a partire dall’uomo in carne ed ossa e non dalla sua valenza ‘merceologica’ che il ‘diodenaro’ si ostina a presentarci come la realizzazione di ogni desiderio (indotto dal mercato) esterno e quasi mai frutto di ciò che solo noi siamo e non sappiamo (ancora) di essere.
Angelo Vita
(Psicopedagogista – Docente di Filosofia e Storia)