Avviene dopo che Giuseppe Moscato con il suo articolo ha posto all’attenzione della pubblica opinione che il termine previsto dalle norme è scaduto il 3 maggio u.s. spiegando con dovizia di particolari le ricadute in termini di stabilità delle istituzioni rappresentative comunali.
Il tema suggerisce delle domande sulla vigilanza della minoranza consiliare sull’attività amministrativa nel comune in dissesto finanziario, che dovrebbero trovare risposta nel corpo delle loro iniziative politiche locali, ma soprattutto ci interroga sulla apparente metamorfosi del M5S a Favara.
La nuova classe dirigente è alla guida della città sulla base di un sentimento fiducioso di cambiamento del rapporto tra cittadini e il “potere” nuovo e diverso, fatto di coinvolgimento operativo dei cittadini e dalla trasparenza delle determinazioni per la soluzione delle difficoltà in cui versa il paese.
Quello che richiama l’attenzione e muove una incipiente preoccupazione è costituita piu’ che dal ritardo rispetto alla scadenza dei termini di legge per la redazione e approvazione del documento finanziario,dalla mancata elencazione degli ostacoli che ne sarebbero la causa e dalla pubblicazione delle soluzioni individuate che non si conoscono a fronte di un evidente interesse pubblico che invece lo esige.
Che le aspettative in città siano state alte e che in buona misura lo siano ancora rispetto alle reali probabilità di trovare soluzioni nel breve e medio periodo è un fatto inconfutabile.
E’ altresi’ indifferibile l’esigenza di conoscere se rispetto al programma su cui hanno chiesto il mandato di Governo è cambiata l’agenda delle priorità e quali sarebbero queste ultime.
Quale visione della città vogliono accompagnare a realizzarsi, consapevoli di essere una forza politica di Governo che si candida a guidare oltre che la Regione, lo Stato.
E’ di pubblico interesse infine sapere se il modello a cui aspira il M5S a Favara è quello che vuole intercettare i nuovi ceti, nuove classi sociali e nuove domande come stanno cercando di fare a Milano, ovvero arrendersi alla sindrome del Marchese del Grillo che con la sua famosa battuta ha reso plastica la distanza tra il potere e i ceti popolari.