In un momento in cui in più parti del mondo si odono i crepitii delle armi, a Favara il 23 marzo prossimi si potranno ascoltare altri suoni, diametralmente opposti ai primi, suoni che aprono il cuore alle emozioni, alla bellezza, alla solidarietà. Grazie all’intraprendenza dell’Accademia Palladium e alla passione di Pino Minio, direttore generale della stessa, per il giorno Favara si candida a essere palcoscenico della musica coinvolgendo artisti di diverse generazioni. Nella suggestiva cornice del PalaSport Village si svilupperanno vari laboratori sui grandi temi legati all’arte e alla cultura musicale, promuovendo la condivisione di passioni e idee. Gruppi di ieri e di oggi, artisti e band che hanno scritto la storia della musica tornano così insieme per continuare a offrire suggestive emozioni. Una storia della musica che affonda le sue radici tra gli anni sessanta e settanta del secolo scorso quando a Favara sono nati diversi complessi alcuni dei quali durati nel tempo. Tra questi il “Carpe Diem” di cui è suggestiva la storia raccontata da uno dei componenti, Antonello Bosco, oggi affermato medico radiologo, che di seguito riportiamo. Ecco il suo racconto.
“Carpe Diem, quam minimum credula postero’. Quando lessi questo sonetto di Orazio, studente del secondo anno del liceo scientifico, pensai che era il giusto nome da dare al complesso (allora si chiamavano così, oggi gruppi o band). La storia del Carpe Diem è una storia semplice, comune a tanti ragazzi che avevano la passione per la musica. Invece di andare in giro senza grandi stimoli, ci riunivamo e provavamo a creare canzoni. Era l’epoca beat, andava di moda la musica leggera, melodica e, ovviamente, la musica popolare. Favara tra la fine degli anni sessanta e primi anni settanta offriva poco ai ragazzi. C’era la moda di festeggiare i matrimoni nelle sale locali dove si entrava senza essere parenti degli sposi per ascoltare la musica dal vivo e accostarci ai complessi. I musicisti più famosi erano parecchi: Gaetano Russello (che noi chiamavamo Tano Celentano per l’abitudine a molleggiarsi), i fratelli Rizzo, Melo Airò, Peppe Nicotra, i fratelli Castronovo, Melo Puccio, ‘u zi Peppi Pala e altri. Comunque, il gruppo che seguivamo di più era denominato “Ciclo 22”, i cui componenti li consideravamo come dei nostri fratelli maggiori. Si trattava di Tano Antinoro, Antonio Vetro, Antonio Sferlazza, Paolo Baldacchino, Lillo Pennisi.
Era sorprendente il fatto che i parenti degli sposi ci trattavano come ospiti e ci invitavano ad assaggiare qualcosa.
C’erano all’epoca diverse sale per matrimoni a Favara: il salone Indelicato in via IV novembre, la sala Lanterna in via Kennedy, il Tre Stelle du zi Lillo Patti in via dei Mille, il Salone Scariano in piazza Itria.
La primissima formazione del Carpe Diem comprendeva Antonio Luparello (da considerare il fondatore), Giuseppe Milioto, Lillo Trupia e Giuseppe Caramazza. Quest’ultimo ha quasi subito lasciato il gruppo e il suo posto è stato preso da me. Era la prima fase, quella in cui si cercava di apprendere gli accordi ed eseguire qualche semplice brano. Il complesso si completò con l’arrivo di Gaetano Cavaleri al canto e Gaetano Lentini al sax. Bisogna dire, che dopo qualche anno, Giuseppe Milioto, per motivi di studio, lasciò il posto di tastierista al fratello Salvatore. Si provava quasi tutti i pomeriggi, dopo avere assolto ai compiti scolastici, nelle sale dell’oratorio Mons. Giudice. Nei circa quattro anni di attività ci sono state delle sostituzioni momentanee con gli ingressi di Antonio Bellavia (sostituendo Cavaleri perché militare), Salvatore Bennardo e Angelo Ventura. Il nome Carpe Diem fu scelto da me, come già detto, in parte anche per l’influenza di un gruppo inglese, i Procol Harum, che all’epoca andava per la maggiore con il brano A Whiter Shade of Pale (Senza Luce). Mi incuriosiva il nome latino del gruppo che si distingueva tra i “comuni” Beatles, Rolling Stones, Pink Floyd, Led Zeppelin, etc. Quando studiai il sonetto di Orazio ho detto: è fatta, il nome è questo: Carpe Diem, cogli l’attimo.
Si andava a suonare nei matrimoni. Qualche manifestazione più impegnativa era in occasione dello Zecchino D’Oro per la Festa di San Giuseppe. La direzione tecnica era affidata a padre Giuseppe Veneziano che si impegnava e dava il massimo: le prove iniziavano mesi prima e si tenevano nella sagrestia della chiesa di San Giuseppe. Si andò avanti così per alcuni anni, forse i più belli della mia vita. Nel 1973 lasciai il gruppo perché mi trasferii a Palermo per studiare all’Università. I miei amici continuarono per qualche altro anno ma poi per vari motivi hanno lasciato anche loro.
Intorno al 2006 alcuni, non tutti, ci siamo riuniti e abbiano ripreso a passare delle belle serate in musica. La nota triste della storia del gruppo è che nel giugno del 2013 Lillo Trupia, il nostro batterista, dopo una breve malattia, ci ha lasciato per sempre. Lillo resta presente nei nostri discorsi e nel profondo dei nostri cuori. Durante il triste periodo Covid anche Totò Milioto se ne è andato”.
Resta la musica che non tramonta mai.