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27/01… l’Olocausto si può RICORDARE per LEGGE-re?

 

Chi può dimenticare, in occasione di questa nuova ricorrenza, quelle affilate e appassionate parole di Primo Levi nella sua poesia ‘Se questo è un uomo’: “…Vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore. Stando in casa andando per via; coricandovi, alzandovi; ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, La malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi”. Sono parole che raccontano fatti in cui l’uomo è stato privato della sua dignità, delle sue radici, della sua parola e dopo, solo dopo della vita. Che cos’è la vita senza una memoria, un territorio, un’appartenenza, un’identità. Meno che nulla. Disperazione. Ciò che è successo nei campi di concentramento di tutto il mondo pur essendo inenarrabile è stato raccontato contro il volere dei tanti – ahi noi –  negazionisti presenti ancora in ogni dove.

L’epoca odierna non copre o non riesce più a coprire i fatti e i misfatti che si sono consumati e continuano a consumarsi nel mondo. Molto di ciò che succede è svelato. Ed è sempre più difficile nascondere la polvere sotto i tappeti che anticamente avevano permesso ai poteri assoluti di fare il bello ed il cattivo tempo all’insaputa delle maggioranze. Come si fa a negare ciò che è stato. Sarebbe come andare controcorrente, non si può essere veramente credibili ma semplicemente in malafede.

Il 27 gennaio le nostre scuole e le istituzioni pubbliche europee ricordano quel giorno del 1945. Sono passati oramai 73 anni, la vita di una generazione. Intorno alle 12.00 furono abbattuti i cancelli del campo di sterminio di Auschwitz rivelando l’orrore del genocidio nazista. Più delle quantità in quei numeri a sei zeri quello che usciva fuori, dalle camere a gas, dai lager, dai campi di sterminio e dalle fosse comuni, era il disprezzo della diversità, l’esaltazione della razza pura (ariana), la bestialità di un regime che in nome e per conto della cogente sconfitta della Prima Guerra Mondiale da parte della Germania, ha messo fuori e strumentalizzato idee filosofiche come quelle fichtiane e/o nietzschiane  che nulla avevano da spartire  col genocidio, con lo sterminio di uomini e donne, di vecchi e bambini, ebrei, comunisti, zingari, omosessuali, disabili, rom, sloveni… ma ciò poco importava alla causa del nazismo passato dalla politica del terrore alla mortificazione dell’uomo e della sua umanità.

Il Giorno della Memoria è una ricorrenza internazionale celebrata ogni anno come giornata per commemorare le vittime dell’Olocausto. È stato così designato dalla risoluzione 60/7 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1º novembre 2005, durante la 42ª riunione plenaria. E se prima di quella data le scuole si organizzavano in ordine sparso, dal 27/01/2006 la ricorrenza ha scandito sino all’attuale il calendario delle attività scolastiche di tutto il mondo.

Ciò detto una riflessione dopo quella risoluzione credo vada fatta… Primo Levi se fosse stato vivo avrebbe spinto perché quella risoluzione fosse stata fatta e ‘contento’ che la scuola ne avesse colto – come ne coglie – valore e senso. Ma oggi chi sono i ragazzi che ci troviamo di fronte specie alla superiore? Sono ragazzi adolescenti un pochino più piccoli o della stessa età dei ragazzi del 1899 costretti (alla loro età) ad impugnare le armi per andare a combattere in trincee dove la morte era più certa della vita; sono ragazzi nati in tempo di pace e non negli anni dei totalitarismi o del 1939 quando scoppiava la Seconda guerra mondiale e vedevano partire i padri per combattere una guerra persa in partenza poiché lasciati soli a casa senza nessuno che li sfamasse; non sono neanche i ragazzi degli anni Cinquanta che hanno conosciuto la miseria dei padri ed il benessere da padri perché nati con il latte in polvere e – ahi loro – costretti ai giochi elettronici perché privi della ‘strada’, compagna fidata dei loro genitori.

A questi nostri ragazzi sento che il repetita juvant non sta funzionando più… è come se la loro vita, ipertecnologizzata, fatta di social network, di esperienze virtuali in cui la morte ne costella le giornate rendendo meno cruento ciò che una volta era drammatico, avesse sedato quelle emozioni che da sempre hanno dato senso al senso, alla convivenza, alla solidarietà, alla condivisione. Quando ci troviamo di fronte a foto/self  come quella (a titolo di provocazione) postata dove col fotomontaggio si smonta il senso di quelle immagini rendendo vano il dramma, sentiamo un brivido nella schiena, riconosciamo in parte i nostri ragazi/figli… è come se queste generazioni fossero state sottoposte a massicce dosi di antidepressivi tali da spegnerne quell’anelito che lega l’uomo con l’uomo. Il repetita juvant non sta funzionando più… Levi oggi avrebbe torto a chiedere di imprimere nelle memorie dei nostri ragazzi gli stermini che la storia conserva tra le sue piaghe.

Riproporre in maniera identica quelle ‘memorie’ sveglia nei nostri ragazzi un irrazionale desiderio d’assuefazione. Nel secondo libro de “I fratelli Karamàzov” Dostoevskij parla di “Un dolore che cola in lamentazioni” e “Le lamentazioni non gli danno alcun ristoro fuorché quello di esulcerare e di lacerare il cuore. È un dolore che non desidera neppure trovare consolazione: si nutre del suo senso di essere inconsolabile. Le lamentazioni sgorgano da un bisogno di rinfiammare costantemente la piaga”… ed in questa nostra ‘coazione a ripetere’ – di fatto – abbiamo svuotato di senso la richiesta di Primo Levi aprendo ad una sorta di rigetto che si traduce nel dileggiare, deridere, irridere, ironizzare e disprezzare chi è stato privato della vita da quanti, continua Levi, “hanno dimostrato… quali insospettate riserve di ferocia e di pazzia giacciano latenti nell’uomo dopo millenni di vita civile, e questa è opera demoniaca”.

È chiaro che come ricordava un paio di anni fa in un denso libretto Elena Loewenthal, che non può essere certo tacciata di scarsa sensibilità sul tema o, peggio, di aspirazioni negazioniste, “il 27 gennaio di ogni anno si evoca il ricordo della Shoah. Si organizzano eventi, incontri, celebrazioni ufficiali. Ma che cosa sta diventando questo Giorno della Memoria? Una cerimonia stanca, un contenitore vuoto, un momento di finta riflessione che parte da premesse sbagliate per approdare a uno sterile rituale dove le vittime vengono esibite con un intento che sembra di commiserazione, di incongruo risarcimento”… ed è per questo che non si può ricordare per legge-re.

Angelo Vita

(Psicopedagogista – docente di Filosofia e Storia)